In campo ad 83 anni l'arbitro dei carcerati

Sullo sfondo, il calcio. Portiere tra i dilettanti, quindi arbitro. «Fu mia moglie ad iscrivermi al corso, a Torino. Senza avvertirmi». Venne promosso, diresse qualche gara di giovani. «Cinque o sei, poi mi dimisi per un litigio con un designatore». Dal rischio di smettere subito all’inizio dell’avventura lunga più di mezzo secolo. «L’arbitro internazionale Liverani, che credeva in me, era un esponente di spicco nel Csi e mi convinse a passare da loro: avevano pochi arbitri. Ci andai».
Voltandosi indietro il signor Aldo scova un rimpianto: «Se fossi rimasto in Federcalcio avrei fatto carriera come tanti che cominciarono con me. Avevo il fisico, conoscevo bene il regolamento. Ma sono fatto così e le mie impuntature a volte mi hanno portato fortuna come quando, per vedere gli aerei alleati che per la prima volta bombardavano Torino di giorno, l’8 novembre del ’43, uscii dal rifugio e rimasi allo scoperto in corso Spezia. Quella follia mi salvò la vita, perché le bombe fecero crollare il mio palazzo e nel rifugio morirono in tanti». Di quel giorno gli è rimasta la passione per gli aerei da guerra. Ci mostra i due album pieni di fotografie, ritagli di giornali e schede tecniche minuziosissime. «So tutto di caccia e bombardieri della Seconda Guerra - racconta - Feci anche un provino per “Lascia o Raddoppia”. Mi bocciarono quando dissi ingenuamente che conoscevo bene Mike Bongiorno, perché abitava di fronte a casa mia».

Al «glamour» dei grandi match che non ha mai arbitrato, Parise ha sostituito l’incredibile longevità. Più di 4 mila partite «e mai un’invasione di campo o un’aggressione e non più di sei o sette espulsioni, perché da noi le squadre hanno un’estrazione parrocchiale e di solito alle spalle c’è un prete. Insomma si gioca sodo ma con più educazione. Invece ho espulso molti dirigenti: uno l’ho pure querelato per ingiurie. Lo perdonai soltanto quando versò dei soldi all’Associazione per la lotta contro i tumori». È un aneddoto tra tanti.

Da quando sostituì in incognito il famoso Gonella per un’amichevole della Juve a Nichelino, e fu poi costretto a firmare gli autografi con quel cognome («persino Bettega, appena tornato dal Varese, mi presentò la sua fidanzata dicendomi: "Permette, signor Gonella...") al produttore di vini che nel Canavese gli offrì alcuni cartoni di bottiglie perché facesse perdere la sua squadra. «Il parroco l’aveva incastrato come sponsor ma lui non voleva pagare le spese per partecipare alle finali nazionali e avrebbe gradito la sconfitta nella partita decisiva per andarci. Chiesi a Liverani cosa dovessi fare . Mi disse di caricare in auto le bottiglie e di arbitrare normalmente. Finì che la squadra di quel signore si qualificò per forfait perché gli avversari non si presentarono per un guasto al pullman e sulla via del ritorno ci bevemmo le bottiglie».

Signor Parise ma a 80 anni suonati nessuno le ha mai rinfacciato la vecchiaia? «No, anzi dai 65 anni fino a oggi l’atteggiamento dei giocatori si è fatto più rispettoso, forse perché posso esserne il nonno o forse perchè ammirano una persona che non si piega all’età. L’insegnante di una delle scuole che vengono a giocare nel carcere qualche mese fa mi ha detto: "Porto una sua fotografia a mio marito che è molto più giovane di lei ma non si schioda dal divano"». Ora il Nonno Fischietto deciderà di smettere. O forse no.

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